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(...segue) Casa Koshino, di Tadao Ando 1979-83


Relazione scritta nell'ambito del corso di Architettura e Composizione I

- Analisi dei materiali e del linguaggio architettonico + bibliografia
- Analisi dell'ordine insediativo e principi organizzativi della distribuzione funzionale <-
- Analisi della struttura, delle finiture e degli elementi tecnologici

Casa Koshino sorge su un lotto regolare caratterizzato dal declivio del terreno; esso si trova in un'area residenziale soggetta a vincoli naturalistici, all’interno del parco nazionale ai piedi dei monti Rokko. Spesso, come in questo caso, Ando si trova a cimentarsi con luoghi particolarmente significativi per la bellezza naturalistica o per la difficoltà intrinseca nell’inserirvi un’architettura. Vittorio Gregotti fa notare come, nonostante le difficoltà dell’operazione, il luogo modificato dall’intervento dell’architetto Tadao Ando non risulterà mai anonimo, anche se semplice nell’apparenza al punto da poter apparire scarno al primo sguardo. “Forse è proprio il silenzio dei progetti di Ando a renderli così riconoscibili nel rumoroso tumulto causato dal disordine delle piccole costruzioni tradizionali o dai virtuosismi tecnologici più recenti” scrive il critico.
L’orografia e l’esposizione del sito sono oggetto di particolare attenzione nel progetto: l’architetto cerca al contempo sia di opporsi allo spazio naturale irregolare con la regolarità dei semplici volumi, sia nel trarre dal luogo suggerimenti che orientino l’architettura verso la valorizzazione del sito naturale stesso. Lo stesso Gregotti descrive quello che è il metodo di lavoro di Ando: “Egli parte sempre da un’attenta osservazione del luogo del progetto, che viene immediatamente riprodotto in scala con un modello a curve di livello da usare come materiale di studio per stabilirne il rapporto con l’architettura… Questo edificio rappresenta la dimostrazione di come sia possibile con semplicità legarsi alla natura e alla terra.” (Gregotti, Casabella)
La casa sorge a valle di una piccola strada, che lambisce il lato nord del lotto; giungendo sul luogo pertanto è possibile, vedendola dall’alto, apprezzare in un sol colpo d’occhio la composizione dei due parallelepipedi, con l’asse maggiore orientato in modo ottimale, in direzione est-ovest. Il progettista sceglie infatti di assecondare la direzione diagonale del pendio, ruotando l’abitazione di circa 45° rispetto all’asse viario. I due volumi distinti del progetto iniziale vengono così disposti parallelamente, in parte interrati, ponendo particolare attenzione a preservare gli alberi già presenti sul suolo, lasciando inalterato il contesto naturale.
L’ accesso all’edificio risulta dunque traslato rispetto all'asse della strada e avviene attraverso una serie di contrazioni: diaframmi, variazioni di direzione e salti di quota. Il risultato della composizione è un involucro chiuso, protetto e schermato verso la città, ma aperto verso la natura del parco e di corti aperte delimitate dai volumi. Scrive Ando: “L’architettura è sostanzialmente l’espressione del modo in cui si danno risposte alle domande poste dal luogo… La logica dell’architettura deve adattarsi a quella della natura. Scopo dell’architettura è creare ambienti nei quali natura e progetto coesistono seppure in aperto contrasto. L’architettura non è semplice manipolazione di forme, ma è costruzione di spazi e, soprattutto di luoghi che fondano spazi. Per questo io mio trovo a lottare con l’ambiente e solo in seguito riesco a vedere l’architettura come un luogo diverso”. (T. Ando El Croquis n°44, 1990)
Per comprendere a fondo l’architettura di Tadao Ando occorre ripercorrere lo sviluppo storico dell’architettura giapponese, che affonda le sue radici nello stretto rapporto con la natura. Il rapporto tra le architetture di Ando e la natura si pone molto più avanti del semplice inserimento nel contesto ambientale. Egli dedica molta attenzione agli elementi naturali, adopera la luce solare, il vento e la pioggia come fattori intrinseci dell’architettura che coinvolgono l’uomo nell’opera costruita. Il lecorbusiano “gioco sapiente dei volumi sotto la luce” si arricchisce di nuove valenze con le quali l’architettura, perdendo quel suo valore di astrazione dalla realtà, scende a livello dell’uomo e diviene il tramite del contatto con la natura. “Non credo che l’architettura debba comunicare in maniera eccessiva: è preferibile che si mantenga silenziosa consentendo alla natura, attraverso manifestazioni quali il vento o la luce del sole, di parlare in modo i mutamenti delle stagioni trasformano il vento e la pioggia da momenti gelidi in altri sua vece. La qualità della luce del sole muta col trascorrere del tempo, può invadere amichevolmente uno spazio e subito dopo tagliarlo come una lama, e vi sono momenti in cui appare persino possibile toccare la luce. Allo stesso piacevoli e gentili. Queste presenze animano lo spazio, ci rendono partecipi del mutare delle stagioni, raffinano la nostra sensibilità.” (Tadao Ando – Buildings, Projects, Writings) La natura circostante entra in questa, come in altre case di Ando, tramite la percezione dei mutamenti atmosferici, che trae origine da una concezione del tempo inseparabile dalle manifestazioni naturali.
L’aver diviso la casa in due corpi di fabbrica non trova giustificazione nel rigido motivo funzionale di separare nettamente lo spazio giorno da quello notte, ma è stato dettato invece dalla volontà di alterare al minimo lo spazio naturale interponendo tra i due corpi una sorta di cortile aperto, in parte a verde ed in parte gradinato; allo stesso scopo il collegamento tra i due volumi parallelepipedi avviene attraverso un passaggio. La corte così creata diviene il punto d’incontro con gli elementi della natura che penetrano in questo spazio aperto portando all’interno la luce naturale e facendo percepire le variazioni meteoriche. “Gli ingressi non devono essere corridoi chiusi se si intende ripristinare il senso dell’intimità nel passaggio dalla strada alla casa, ma mediazione tra aperto e chiuso. Si entra nella casa da un ingresso intimo e protetto, rievocativo dei templi della tradizione giapponese, ma poi, scesa la ripida scala si vede la corte, che fa percepire l’anomalia di uno spazio all’aperto inglobato nell’edificio. È proprio questa discontinuità che permette alla natura di penetrare nella casa e, sebbene la costruzione sia un involucro scatolare, l’architettura trae dalla natura e dai movimenti degli abitanti un’articolata complessità… Nelle mie case all’interno di costruzioni chiuse vi sono spazi aperti e corti. Il mondo esterno è respinto e all’interno viene ospitato un mondo separato.” Le fenditure verticali e orizzontali lasciano entrare nello spazio interno una luce variabile alle diverse ore del giorno. In particolare il solaio del soggiorno e quello del corpo aggiunto presentano un’asola vetrata la quale, mentre nel primo caso lascia entrare una luce radente che mette in risalto la parete in calcestruzzo a vista, nel secondo caso provenendo da un taglio circolare accentua la curvatura della parete. Tagli verticali delle pareti esterne portati fino all’intradosso della copertura conferiscono suggestione allo spazio interno, così come l’apertura del soggiorno che occupa solo la parte bassa di una parete a doppia altezza, ricordando la luce magica di molti templi della tradizione giapponese. Nel 1984 viene aggiunto all’abitazione un terzo corpo, l’atelier della signora Koshino. Con grande senso compositivo Ando rompere la rigida ortogonalità dei corpi pre-esistenti aggiungendo ad essi un volume parzialmente interrato, con la pianta a quarto di cerchio, collegato alla casa attraverso un piccolo passaggio in proseguimento del tratto sotterraneo che connette i due precedenti corpi di fabbrica. Nonostante l’apparente contrasto delle geometrie, questa addizione manifesta un’intenzione di rispettare le regole compositive e di insediamento nel contesto già adottate nella prima parte della realizzazione. L’atelier, con il muro curvo e quasi del tutto interrato rivolto alla strada, accresce il senso di chiusura verso l’ambiente urbano, richiamando il problema più volte affrontato nelle sue riflessioni dall’architetto: il rapporto tra spazio di vita pubblica e privata e il ruolo di separazione svolto dal “muro”. Scrive a proposito Tadao Ando: “…un singolo muro indurisce, interrompe, si oppone, altera violentemente lo scenario in cui si colloca, e inizia a svelare così i segni di una trasformazione che porta all’architettura. Allo stesso tempo però un muro può mescolarsi con quanto lo circonda attraverso accadimenti quali le ombre che gli alberi vicini proiettano sulla sua superficie. Al giorno d’oggi il compito è di costruire muri che separino radicalmente l’interno dall’esterno. Compiendo questa operazione risulta di notevole importanza la costitutiva ambiguità del muro che è al contempo interno ed esterno. Nel mio lavoro i muri hanno la funzione di individuare spazi fisicamente e psicologicamente isolati dal mondo esterno. Essi possono essere utilizzati per spezzare l’illimitata monotonia e la casuale indifferenza con cui vengono costruiti nell’ambiente contemporaneo. In un’abitazione i muri che sorgono indipendenti nella natura individuano il territorio della casa. Di per sé inespressivi, essi proteggono un interno mentre riflettono i mutamenti che accadono nel mondo naturale, consentendo alla natura di entrare a far parte dell’esperienza quotidiana della vita domestica… Accogliere quanto è desiderabile e rigettare ciò che si teme: l’abitazione è espressione di abili manipolazioni, di atti di rifiuto e gesti che accolgono.” Il muro definisce il limite del territorio. L'uso che Ando fa dei “muri in cemento armato indica il suo personale modo di rifiutare la monotonia delle città moderne. Questi muri però non rappresentano solo la chiusura verso il caos del mondo esterno, ma sono anche il mezzo per far reagire le sue architetture con il mondo e in particolare con la natura: muri che contemporaneamente affermano e rifiutano, che sono contemporaneamente esterno e interno, che isolano dal caos, ma riflettono anche i mutamenti esterni tramite la luce e le ombre che vi si riflettono”. (L'architecture d'Aujourd'hui, n° 255)
Ecco come l’architetto Tadao Ando descrive il progetto per Casa Koshino: “Spazi individuali, protetti ma aperti, si combinano per creare un tutto, non una semplice combinazione di parti, né le parti sono controllate dall’esterno; l’individualità è alla base del progetto e il rapporto tra l’individualità e il tutto è sempre la principale preoccupazione poiché il progetto si sviluppa dall’interno all’esterno”. L’architetto descrive l’architettura come l’arte di organizzare lo spazio per mezzo della geometria, a partire dalle forme più semplici possibili. Per lui la geometria è composizione di volumi elementari, prismatici o cilindrici, disposti in modo da creare pause spaziali che caratterizzano l’architettura. Così lo schema organizzativo di Casa Koshino è racchiuso semplicemente nell’accostamento di due parallelepipedi; in quello centrale si trova l’ingresso, traslato rispetto all'asse della strada che costeggia il lotto a nord. Variazioni di direzione e di altezze ne fanno un luogo colmo di valenze simboliche connesse alla tradizione giapponese degli accessi oscuri e nascosti dei templi. Il risultato è un luogo che stimola le aspettative e rende più piacevole l'arrivo all’interno della casa. Dalla zona d’ingresso si scende nel soggiorno a doppia altezza, comunicante con la cucina-tinello posta sotto la camera matrimoniale e un’altra stanza. Il secondo volume parallelepipedo, connesso al primo tramite un corridoio sotterraneo, ospita una serie di camere per i bambini e di stanze per gli ospiti, rigidamente organizzate sul modulo del tradizionale tatami. Il terzo volume, aggiunto solo alcuni anni dopo, ospita l’atelier della signora Koshino. Il filo conduttore prevalente che guida il progettista nell’articolazione dell’abitazione e nella distribuzione di questi ambienti non è certamente l’aspetto funzionale: il “form follow function” di Sullivan qui non trova posto; tutto è calibrato in modo da agevolare la percezione degli ambienti come spazi del ”sentimento”, dell’individualità e del contatto con la natura, non come spazi di vita quotidiana. Neppure la suddivisione dell’abitazione in tre blocchi distinti può rientrare nell’ottica di una scelta funzionale, volta ad esempio a separare l’ambito della vita diurna, da quello notturno o dallo spazio lavorativo. A riprova di ciò, il blocco centrale, contenente la zona giorno, ospita anche una camera da letto nel livello superiore, mentre il blocco più a sud racchiude oltre alle camere da letto anche stanze di gioco per i bambini. Scrive Ando: “Potrebbe sembrare che il mio scopo sia quello di costruire spazi astratti dai quali siano stati banditi uomini, funzionalità, modi di vita, dato che gli interni delle mie costruzioni appaiono nudi. In realtà non sono spazi astratti bensì prototipi spaziali, frutto di lunghe indagini. Mentre l’architettura moderna ha ricercato, adottando telai indifferenziati e ripetuti, di configurare omogeneamente lo spazio, la mia preoccupazione è di creare spazi che possano apparire semplici a prima vista, ma che non configurino esperienze altrettanto semplici; vale a dire: spazi complessi, risultanti da operazioni di semplificazione. Questi spazi non sono il risultato di operazioni intellettuali, ma traggono origine dalle emozioni di persone diverse. Il mio rapporto con quanti fruiranno lo spazio consiste nell’agire come intermediario nel dialogo tra costoro e l’architettura”. E ancora: “Le mie forme si modificano e acquistano un significato sia utilizzano elementi naturali, quali l’aria e la luce, che rendono percepibile il trascorrere del tempo e delle stagioni, sia attraverso gli accadimenti della vita”. Dunque gli elementi essenziali sui quali Ando gioca per articolare lo spazio interno, sia pure senza intenti funzionali immediati, sono i materiali e il contatto con la natura che entra nell’edificio attraverso manifestazioni incorporee come la luce caratterizzando in modo singolare ogni ambiente, in modo tale che ognuno possa attribuirvi propri significati. In questo edificio l’uso del calcestruzzo ha ormai raggiunto livelli tali da renderlo incorporeo, privato del peso materico dai giochi di luce. È proprio la luce a generare spazi complessi all'interno di volumetrie semplici, ma soprattutto è la luce la misura del tempo, con la sua capacità di mutare la percezione degli spazi e degli oggetti con il trascorrere delle ore.
All’interno dell’abitazione la percezione risulta accentuata sino agli estremi livelli; dice Ando: “La ricchezza e la profondità dell’oscurità sono scomparse dalla nostra coscienza, e le sottili sfumature che la luce e l’oscurità generano, la loro risonanza spaziale, queste sono quasi dimenticate”. La luce rafforza una “monotonia immobile” degli spazi; il colore, espressione di dinamismo, è completamente lasciato da parte. Scrive infatti Hans Sedlmayr: “la luce mostra nelle forme la sua componente statica, mentre nel colore disvela piuttosto quella dinamica”. A proposito dei principi ordinatori delle sue opere architettoniche Ando scrive: “Due sono le caratteristiche del mio lavoro. In primo luogo impiego un numero limitato di materiali esibendone le caratteristiche. In secondo luogo, non sempre attribuisco allo spazio chiare articolazioni funzionali. È la luce il fattore determinante per la definizione dello spazio. La mancanza di articolazioni funzionali non deriva dalle relazioni che gli spazi stabiliscono con l’esterno, dato che essi sono quasi sempre introvertiti. Ciò corrisponde al desiderio di suscitare sentimenti duraturi negli individui e di corrispondere alle idee di spazio che ciascuno custodisce in se stesso. Per questo mi concentro sugli aspetti indefiniti del progetto che concernono le emozioni e sulle zone interstiziali che si insinuano tra situazioni spaziali funzionalmente definite. Questi spazi possono essere definiti “spazi fondamentali del sentimento”. In questa maniera tento di attribuire agli spazi della vita quotidiana una valenza simbolica. Mi ripropongo di svolgere un’azione di carattere sociale, stimolando il senso dello spazio in coloro che dell’architettura sono gli utenti”. Il critico Magnano Lampugnani nel testo “Three Houses” parla addirittura della ricerca da parte di Ando di un ideale ascetico, inseguito a discapito dell’aspetto funzionale, come egli riscontra nel buio corridoio sotterraneo che collega i due parallelepipedi o nelle minuscole e spartane otto identiche stanzette che occupano l’ala sud dell’abitazione. Un altro aspetto peculiare che Tadao Ando si trova ad affrontare sotto il profilo funzionale è quello della diversità di esigenze poste dagli stili di vita orientale ed occidentale. Negli ambienti giorno in particolare l’architetto manifesta questa problematica e il tentativo di porvi rimedio facendo convivere due culture totalmente diverse. Ciò si traduce nel concreto accostamento di arredamenti di natura diversa, che vanno a costituire uno spazio di transizione. Infatti, mentre nella cucina troviamo arredi tipicamente occidentali, con rivestimenti in acciaio, la zona pranzo è arredata con mobili in legno massello e svetrature dai caratteri marcatamente orientali. Ando da una parte definisce le sue abitazioni come “bastioni di resistenza” contro la distruzione della cultura giapponese ad opera del consumismo occidentale, considerandole come un mezzo per aiutare i residenti a riscoprire il rapporto diretto, tradizionale con la natura; dall’altra, nonostante le critiche mosse al consumismo occidentale, mostra nella sua opera la forte influenza del modernismo. Tutto il suo lavoro è contrassegnato dal tentativo di riconciliare modernità e tradizione.

1 commento:

  1. ciao ho letto qst articolo su casa koshino e l'ho trovato molto interessante. a tal proposito mi chiedevo se per caso avessi anche le dimensioni dell'abitazione. sono una studentessa universitaria e mi servirebbero x riprodurla per un esonero di progettazione. grazie mille ciao

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