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Nuove centralità urbane: spazi per un Museo nel quartiere San Cristoforo (CT)

Laboratorio di progettazione architettonica realizzato nell'ambito della XII settimana della cultura.

Racconto di un'esperienza.
Un intero brano del quartiere catanese di San Cristoforo, nei prossimi anni verrà trasformato da ex manifattura tabacchi a polo museale di tipo archeologico. Un imponente vuoto urbano fatto di macchinari, impianti e guano di colombe presto vedrà nuova luce. Dovrà sobbarcarsi l'incarico di connettere tessere di città quantomai distanti tra loro: la città storica ed autoreferenziale di via Garibaldi da un lato e la movimentata e degradata via Plebiscito dall'altro (forse uno dei pochi brandelli autentici di Catania in cui è possibile vedere contemporaneamente carretti con cavalli, macellerie equine e relativo braciere per arrostire). L'intervento dovrà inserire un nuovo centro nell'economia urbana di un tessuto storicizzato che quotidianamente rigurgita qualsiasi prodotto della motorizzazione pubblica o privata. Un luogo dove innestare la cultura regionale-nazionale sulla radicata cultura popolare in un serrato confronto tra ciò che "si può toccare" e ciò che "non si può toccare" (vedi alla voce soprintendenza), tra antico e vecchio, tra valori da recuperare e inventare. Si parte da qui.

4 gruppi di allievi ingegneri edili-architetti di Catania con il contributo di una studentessa di architettura di Siracusa hanno lavorato dal 19 al 25 aprile per la realizzazione di tavole e plastici. Il laboratorio ha prodotto 4 soluzioni tutte differenti tra loro, successivamente passate in giudizio e quindi approdate in esposizione. In futuro sarà possibile visionare questi lavori come appendice dalla mostra itinerante "Città e società del 21°secolo. Architetture recenti in Sicilia".
Nei prossimi post tenteremo di mostrare in dettaglio gli esiti del nostro lavoro.




Per il momento vorrei cimentarmi nell'ardua impresa di tirare le somme di questa esperienza. Le esercitazioni progettuali regalano spesso sorprese inattese e costituiscono un'indubbia fase di crescita per chiunque. I nostri elaborati si sono ritrovati alla fine a dire in maniera corale che:

1 - L'edificio va consegnato immadiatamente alla città. Va aperto ed esploso verso l'esterno e al contempo deve farsi centro gravitazionale dei quartieri su cui insiste, richiamandoli a se. Alcuni interventi marcano questo aspetto con soluzioni parecchio esplicite.

2 - Il museo archeologico non basta. Non si può pensare alla preistorica soluzione di luogo in cui depositare arte a tempo indeterminato e fruibile al visitatore con il meccanismo di: entro, giro, esco e non torno mai più. L'integrazione con più forme di attività e processi urbani è un obbligo imprescindibile.

3 - Si tratta di un'occasione unica per la città di Catania, per dimensioni, per ambito e ragioni sociali. Per questo motivo i "valori da soprintendenza" sono stati pesantemente rimessi in discussione: la memoria di un luogo non è un fatto fisico che si preserva unicamente con il congelamento dello stato di fatto. E' difficile credere che questo sia ancora argomento di discussione.

Note a margine. E' difficile pensare che un'iniziativa del genere, tanto fresca e propositiva, debba confrontarsi con la "vecchia" società fatta di politici che arrivano con due ore di ritardo perché altrove si gioca una partita di calcio, fatta di personalità accademiche che si elogiano e premiano vicendevolmente. E' difficile sopportare rimproveri da parte dell'ordine degli architetti per domande che non siamo autorizzati a fare. E' difficile essere giovani, purtroppo, ancora una volta.

Ringraziamo per i contributi progettuali durante il workshop:
il Prof. ingegnere Sebastiano D'Urso;
la Prof.ssa architetto Zaira Dato;
la soprintendente ai beni culturali della provincia di Catania, architetto Fulvia Caffo;
l'ingegnere Gianluca De Francisci;
l'architetto Francesco Finocchiaro;
l'architetto Stefania Marletta;
e tutti i ragazzi della Regione Sicilia.


Tutto sul Workshop:

- Il racconto di un'esperienza <-
- Proposta: La Fabbrica della Cultura

6 commenti:

  1. Le sperimentazioni progettuali, qui illustrate, affrontano il difficile tema della rigenerazione urbana, lavorando sul disegno dei luoghi di rinnovata socialità, sulle relazioni tra i volumi e gli spazi aperti, sul confronto tra storia e linguaggi contemporanei, sul rapporto dialettico tra memoria del passato e immaginazione del futuro.
    A tutti gli studenti è stata richiesta una riflessione sullo spazio pubblico - tema portante del processo di rigenerazione urbana - e una proposta a livello progettuale.
    Ringrazio tutti i ragazzi che hanno partecipato al workshop per l’impegno, la volontà e il coraggio di sperimentare soluzioni appropriate e mai ovvie. I risultati non rappresentano certamente risposte definitive, ma possono essere letti come processi dinamici di conoscenza, orientati a restituire un autentico significato ai luoghi nei quali il progetto esplica la propria volontà trasformativa.

    Infine, aggiungo che, sarà difficile essere giovani, ma è bello, soprattutto se si è tanto giovani nello spirito da riuscire a conservare l’energia e l’entusiasmo per inseguire i propri sogni e difendere ciò in cui si crede… a prescindere dal contesto che a volte vorrebbe scoraggiarci.

    Ancora grazie.
    Stefania Marletta

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  2. per Stefania Marletta
    Grazie per il commento. E' bello poter continuare a ragionare su questi temi anche a riflettori spenti, con la serenità tipica della conclusione dell'evento.
    Nel post ho voluto rimarcare l'analisi sullo spazio pubblico quale "tema portante del processo di rigenerazione urbana", come scrive lei nel commento. Ed è un aspetto che ci ha unito tutti, ha unito in ultima analisi tutte le proposte di intervento. Tuttavia, la realtà che ci circonda ci parla di altre modalità di progettazione: prima si pensa all'edificio e poi, forse, allo spazio pubblico. Vedo una certa inerzia nelle modificazioni degli ambiti pubblici per un'infinità di motivi: se ne occupano impacciate amministrazioni, mancano i soldi, resistenza della colletività al cambiamento. Nello specifico, ho come l'impressione che quando il museo si realizzerà l'unica soluzione verso lo spazio pubblico sarà quella di spalancare la porta di Via Garibaldi. Fine. Niente per piazza san Cristoforo, niente per il quartiere. Come diceva qualcuno durante il workshop, il nostro lavoro sarà solo una mera esercitazione. Cosa ha percepito parlando con le varie personalità che già si trovano a guidare i processi di rigenerazione urbana? Lo spazio pubblico avrà veramente un ruolo da protagonista? Cosa rimarrebbe dei nostri progetti tolta la piazza?
    Io un'idea ho cominciato a farmela. Forse sarebbe il caso di progettare prendendo per buono e immodificabile il contesto. Questo non vuol dire ignorare il contesto, ma proporre soluzioni sullo spazio pubblico all'interno del perimetro di ciò che si può realmente e facilmente "toccare". L'esempio è sempre quello: Caixa Forum. Un taglio nella parete e il trattamento di una facciata (interventi sul privato) bastano già a modificare virtualmente lo spazio pubblico senza la necessità di intervenirvi di fatto (anche se poi la piazza viene comunque ripresa, ma quella è la Spagna...).

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  3. Caro Cesare, penso che almeno dalle considerazioni possa essere considerato un ben più che buon progetto. Sicuratmanete i centri storici, quando raggiungono la densità necessaria a garantire la vita, debbano essere trattati considerando l'esigenza primaria dell'aggregazione, e quindi dell'apertura, del land-mark sociale, più che urbano. Se sei riuscito in questo (dalle foto purtroppo non riesco a rendermi conto :) ) vuol dire ceh il progetto è un buon progetto. Gusti a parte, stile a parte, è questo il risultato a cui mirare!

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  4. per Peja.
    Riguardando al mio progetto, potrei affermare di aver seguito un approccio da manuale, dalle analisi al progetto (le analisi sono quelle già mostrate, la prossima settimana pubblicherò il progetto). E questa dovrebbe essere cosa buona e giusta. Ma come già illustrato a Stefania Marletta, spesso capita che la soluzione progettuale si espliciti con maggior forza proprio nei luoghi che non possiamo realmente toccare.
    Nello specifico, abbiamo pensato di progettare l'edificio tanto quanto il rapporto che questo ha con la città, in maniera che queste due parti risultassero inscindibili e complementari. Se nella realizzazione, per motivi economici o scarsa sensibilità la parte "pubblica" non viene attuata mi chiedo: cosa resta del progetto? Posso continuare a dare la colpa a città che puntualmente ingnorano queste categorie di valori? o forse, è colpa di chi progetta proponendo soluzioni che sicuramente non verranno trasposte nella loro interezza e quindi risulteranno sia inutili che dannose? e ancora, bisogna sensibilizzare il mondo sulle nostre posizioni o sensibilizzare la categoria degli architetti sui conti dei comuni?
    Riflessioni da una città in cui i più grandi aborti urbanistici portano la firma di kenzo tange. La colpa è dell'amministrazione che non ha completato il quartiere di Librino nei modi e nei tempi opportuni, o di Tange che pensava che le cose funzionassero come in Giappone?
    Lo stesso potrebbe essere detto per il quartiere Zen di Palermo di Gregotti.
    Domande che mi tormntano...

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  5. Penso che spesso l'architetto quando progetta pensa all'ipotesi migliore, quella in cui la sua opera sarà riconosciuta e utilizzata così come è nata nella sua mente. Diciamo pure che l'architetto è molto ottimista e talvolta è anche un po' utopico, in quanto purtroppo nella realtà l'avvicendarsi degli eventi portano il progetto in direzioni opposte e la causa di questo è da attribuire a fattori politici, politici e forse un po' sociali! Coscienti di questo è bene evitare che gli incidenti di persorso portino alla devastazione dell'idea iniziale! Un buon progetto è vero che si giudica tale dalle intensioni ma anche e soprattutto dal risultato!

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  6. scusate è scappata una "esse" invece che una "zeta"!perdono!

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