
Dopo circa una decina di giorni dall'invio degli elaborati ci si incontra all'univ.
Ciao.
Ciao Mary.
Partecipato?
Certo!
Che hai scritto?
Una favola.
Noooo... Pure tu?
E' stato spettacolare vedere come i nostri due testi avessero preso spontaneamente la forma di due favole per spiegare cosa è oggi l'architettura contemporanea. Capite cosa vuol dire? Che la nostra carriera universitaria ci ha portato esattamente allo stesso punto. Non voglio dire che abbiamo scritto le stesse cose, gli stessi contenuti. In noi, evidentemente, deve essere maturata una certa ostilità verso la critica contemporanea e la sua complessità di fondo, ostilità verso i testi scritti a solo uso e consumo di pochi adepti, ostilità verso quei chilometri di carta stampata del valore della carta igienica. E così, forse per beffa, forse per sfida, abbiamo prodotto involontariamente due favole. Belle o brutte che siano a questo punto conta poco, per noi il messaggio inviato ai critici di professione sembra più che chiaro. Per adesso non chiediamo molto, non vogliamo che improvvisamnete tutto diventi più semplice e comprensibile, ci accontentiamo anche solo di capire chi siano stati i vincitori del concorso... un passo per volta, ok?
Intanto vi beccate i testi che abbiamo presentato. Da notare come alcune parole si ripetano identiche e nelle stesse posizioni, come tutte le favole che si rispettino. Buona Lettura.
Forma e Funzione
di Maria Luisa Valenti
Tanto tempo fa l’uomo viaggiava costantemente, adattandosi alle necessità che richiedeva ogni suo viaggio. Ma un giorno, stanco di peregrinare, si stanziò e con Architettura diede vita a due sorelle siamesi, Forma e Funzione. Le esigenze portavano l’uomo a preferire Funzione, la sorella pratica e metodica, mentre a Forma, più problematica e sentimentale, restava il compito di adattarsi.
Un giorno però l’uomo decise di servirsi anche dell’impiego di Forma e si accorse per la prima volta del suo innato talento nel trasmettere emozioni. Desideroso di far trepidare il cuore di tutti, l’uomo portò le due sorelle con sé. Viaggiando nello spazio e nel tempo, Forma conobbe le cugine Arte, con i suoi moti rivoluzionari, Musica e Cinema, che come lei non seguivano logiche precise e matematiche, ma erano eversive e fortemente espressive.
Ma l’uomo, bramoso di successo, pretendeva dalla sua favorita più originalità e audacia per centrare il cuore del pubblico e Forma non tradiva mai le sue aspettative. Tuttavia ogni volta che l’uomo chiedeva qualcosa di più, il legame natale tra Forma e Funzione si affievoliva.
Oggi l’uomo propone a Forma di superare i suoi limiti riproducendo l’effimero, il sensoriale e il multimediale, avvicinandosi all’inconsistenza e scollandosi dal tempo che scorre, o talvolta plasmando mostri decontestualizzati. Forma continua ad ubbidire all’uomo, al suo creatore smanioso di diffondere la sua personale immagine in tutto il mondo, ma ciò che oggi rimane vivo di quello che era il legame indissolubile tra Forma e Funzione è un sottile e fragile filo di seta.
Favola contemporane@
di Carmelo Cesare Schillagi
Aveva vissuto nelle grotte e nelle case più umili, nelle periferie delle grandi città, sotto i ponti, sopra le panchine dei grandi parchi. Era una persona importante, ma non ricca. La sua abilità nell’erigere cattedrali e palazzi era nota in tutto il mondo: inventava, sperimentava, giocava con pietre, fango, legno. Tutti lo ammiravano, ma egli in cuor suo sapeva di essere appena più bravo di suo padre, che a sua volta era appena più bravo di suo nonno.
Un giorno vide un uomo entrare in una casa da lui progettata e provò vergogna per aver umiliato quel tale rinchiudendolo in una sorta di scatola. Poco prima qualcuno era riuscito a spiegargli perché una mela cade dall’albero. Poco dopo qualcuno gli mostrò una fotografia che ritraeva una fanciulla meglio di come avrebbe potuto fare qualsiasi pittore. Nel frattempo Dio morì. Non riuscì a gestire tali sconvolgimenti e continuò ad erigere chiese per Dei morti e scatole per uomini umiliati, continuò ad osservare le mele cadere e le ritrasse con perizia sulla tela.
Suo figlio lo abbandonò ben presto: era uno spirito libero che pregava le anime della natura ed era un tutt’uno con essa. Prese le forme perfette, il bianco della luna, la libertà degli uccelli e la trasparenza dell’aria. Ne fece una casa e vi si chiuse dentro. Dopo anni ne usci un bimbo che disprezzava il padre per essere stato rinchiuso in una dimora perfetta, costretto a guardare fuori un mondo contorto. Uscì con le tenebre, abbracciò la terra e la sollevò; prese a calci un palo e lo piegò; intrecciò i rami di un albero; aprì ogni porta e vi guardò dentro.
Oggi non sappiamo che fine abbia fatto quel bimbo e in pochi possono affermare di averlo conosciuto. Qualcuno dice che si sia perso dietro un computer, confuso da un’idea appena scoperta o a caccia di una forma appena vista. Sappiamo che tornerà: con una medicina miracolosa o con un pugno di niente. Forse lo applaudiremo, forse lo cacceremo o forse lo indicheremo con un dito esclamando: ecco, un architetto!
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