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Venezia - Biennale d'Arte vs Architettura


Finalmente ce l'ho fatta. Ho visitato la mia prima Biennale d'Arte a Venezia.
Ricordo i test d'ammissione all'università, in cui mi si chiedeva quale fosse la "famosa" città della Biennale, ed io che segnavo un  bel "Genova" con tanto di vocina che diceva "ma quanto sei ignorante!? in scienze politiche ti finisce". Ad ogni modo, mi classificavo quarto con buona pace di tutti.


Poi le Biennali, quelle di architettura, le studi. E allora prenoti il biglietto e ci vai. Una volta. Due volte. Poi pausa perché Venezia costa uno sproposito e tu non hai tempo. Allora provi a rimediare, un millennio dopo, con quella d'Arte. Tanto sarà figa uguale, pensi, speri, presumi. E poi arte o architettura, interessanti lo stesso.

Insomma parto a fine ottobre 2017. Volo a 1 euro di Volotea. Casa da solo, che mi sarebbe costato di più dormire sotto un ponte, ma con la clausola di condividere la cucina con gli attuali proprietari: i ragni. Zaino ripieno di eurospinate low cost. Insomma le premesse per il viaggio di merda del secolo c'erano tutte, se non fosse per il salvifico piglio bohemien che mi contraddistingue in queste situazioni.

25 euro di biglietto e sei dentro. Ti orienti un po', chiedi un po', bestemmi un po'. Padiglioni principali e padiglioni nazionali. I primi hanno come tema quello di "Viva Arte Viva", che manco ve lo spiego, i secondi "Viva Arte Viva, ma tanto facciamo il cazzo che ci pare" come da prassi per ogni grande evento.

Giri. Leggi ogni didascalia in cerca della risposta. Fotografi ogni dettaglio come se quelle opere dovessero essere distrutte da un momento all'altro; come se il tuo telefonino attaccato ad una power-bank fosse una reflex vera nuova di zecca. Insomma, proverò a pubblicare qualche scatto nei prossimi post, perché vi voglio colti ed eruditi, non come me, ma adesso ciò che voglio dirvi è altro.

Mi hanno cresciuto ed allevato con la consapevolezza che l'architettura contemporanea stesse attraversando un profondo periodo di crisi e pertanto l'approccio classico alla Biennale d'Architettura era: "andiamo a vedere che cagate han fatto questi architetti". Premessa mai smentita, per altro. Tornavo a casa con un archivio di orrori da mostrare ad amici e parenti. I lettori di questo Blog, ricorderanno qualcosa.

Ma con la Biennale d'Arte che si fa? Non mi è esattamente chiaro che tipo di "periodo" stia passando l'Arte. Non so cosa vada di moda oggi. E forse non  ho le chiavi di lettura adeguate. Ma se l'architettura era/è in crisi, dall'altra parte della barricata è una tragedia. Non si cerca una soluzione, ma si scrive beatamente l'epigrafe in attesa della morte. Morte che sopraggiungerà per noia, mica per altro.

Un pescare e ripescare roba dagli anni 60-70 come se il tempo dovesse necessariamente trasformare la spazzatura in avanguardia-con-il senno-di-poi. Autori sconosciuti anche alle proprie madri. Riferimenti culturali dei più disparati, fuori contesto, fuori dal mondo. E intanto il mondo dell'arte, quello che sta fuori, quello virale, quello conosciuto e non seppellito da tre o quattro dita di polvere, quello che riempie i musei, quello se ne sta beatamente fuori, ad aspettare.

Insomma, se le Biennali di Architettura mi sono sembrate sempre rivolte all'attuale momento storico, autenticamente contemporanea anche nelle loro macroscopiche imperfezioni, quella d'Arte 2017, in buona sostanza, è una mostra un po' vintage, un po' inutile.  Non dico manco autoreferenziale, perché potrebbe essere un valore, dico una fiera di cose, giustamente, mai viste.

Però un merito ce l'ha. Mi ha fatto venir voglia di tornare a scrivere...

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