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Maison Ozenfant - Parigi 1922 - Le Corbusier

Nell’Ottobre 1916 Le Corbusier si trasferisce a Parigi, dove Auguste Perret gli presenta il pittore e critico d’arte Amédée Ozenfant. La convergenza di intenti e ideali nella filosofia artistica li porta ad elaborare assieme concetti come il Purismo e l’estetica “macchinista”.
Da un punto di vista concettuale il purismo è stato talvolta interpretato come la controfaccia psicologica dell’espressionismo: all’urlo straziato, alla disperazione materializzatia nelle forme contorte di quest’ultimo, il purismo contrappone la profezia di un mondo rigenerato grazie alla ragione, un’arte in grado di cogliere le sottili armonie sottese al caos apparente della realtà. Bruno Zevi sottolinea come il loro sia un tentativo di razionalizzare il Cubismo, semplificando la rivoluzione picassiana e riconducendola ad una maggiore chiarezza e trasmissibilità; tuttavia altri critici leggono in una simile scelta un atteggiamento riduttivo, che rinuncia a quelle operazioni, di frazionamento dei volumi, di incastonamento dei piani nello spazio, che costituivano la grande scoperta dell’introduzione del tempo in arte. Le Corbusier e Ozenfant giungono, nel 1920, alla formulazione completa delle loro teorie, che pubblicano nel saggio “Le Purisme”, sulla rivista da loro fondata “L’Esprit Nouveau”. Uno sviluppo ulteriore di tali concetti porta alla pubblicazione di “Verso un’architettura” che, come riferisce Frampton, esprime il raggiungimento da parte di Le Corbusier di un dualismo concettuale: l’architettura scaturisce da una parte da forme empiriche, atte a soddisfare le esigenze funzionali, dall’altra da elementi astratti, che sono invece in grado di nutrire i sensi e l’intelletto; elementi astratti già riconosciuti nell’analisi dei monumenti antichi, riconducibili a forme pure (quelle del cilindro, il prisma, la piramide, il cubo e la sfera) e a leggi proporzionali, geometriche e matematiche (es. la sezione aurea). La Maison Ozenfant sotto questo aspetto costituisce il primo “banco di prova” per questi concetti che si vanno via via rafforzando nella filosofia progettuale dell’architetto. Il mutamento nel linguaggio progettuale corrisponde anche a un cambiamento netto nella tipologia di edifici realizzati: accantonato il tema della produzione post-bellica a basso costo e in tempi ridotti, con l’abitazione-atelier Ozenfant Le Corbusier inizia a dedicarsi a progetti commissionati da una borghesia colta ed sofisticata, abbastanza da poter apprezzare progetti di carattere purista. Il livello più basso è destinato all’ambiente soggiorno-pranzo e agli spazi di servizio; la zona più privata è invece collocata ai piani superiori. Un’area di disimpegno e distribuzione, posta lateralmente, consente la fruizione piuttosto indipendente dei vari raggruppamenti per unità funzionali degli ambienti. Le Corbusier aveva già osservato questo modello distributivo in contesti culturali e geografici differenti, ad esempio nelle strade di Parigi ed in particolare nella versione ottocentesca della casa-atelier, tipica residenza degli artisti che adattavano l’organizzazione della casa a schiera medievale alle esigenze del proprio lavoro. In questi edifici una grande parete di vetro illuminava il laboratorio creativo, costituito da un ambiente a doppia altezza con un soppalco adibito a deposito o camera da letto. La casa Citrohan immaginata da Le Corbusier deve essere semplificata al punto da consentire la standardizzazione degli elementi costitutivi, con grandi aperture alle estremità e muri portanti laterali completamente ciechi. Scrive l’architetto: «Le finestre, le porte devono avere dimensioni normalizzate, i vagoni ferroviari, le automobili ci hanno dimostrato che l’uomo riesce a passare per delle aperture strette…». Insomma la casa deve trasformarsi in una vera e propria “macchina per vivere”.
Sia Le Corbusier che Ozenfant fanno risalire nei loro scritti l’idea dell’organizzazione di questa casa all’osservazione del bistrot (caffè) della rue Legendre, un piccolo locale con una vetrata che occupava tutta la facciata, un alto soffitto principale, che concedeva libertà allo sguardo, e piccoli ambienti con il soffitto ribassato che creavano invece raccoglimento e intimità.
Il tema principale affrontato da Le Corbusier nella casa per il pittore è quello della luce. La struttura è realizzata in cemento armato, con muri a doppio strato, espediente utilizzato probabilmente per la coibentazione termica e acustica, e finiti a spruzzo.

Nonostante la tecnica costruttiva adottata, l’architetto realizza un progetto con un’ampia svetratura d’angolo, seppure con l’ausilio di un piccolo puntello. Come mettono in luce Benevolo e De Fusco, la forma rettangolare della Maison Citrohan si trasforma in un impianto irregolare, probabilmente per esigenze dettate dall’orientamento e dalla natura del lotto su cui sorge l’edificio. Del modello Citrohan viene invece mantenuta la struttura portante, costituita dai muri esterni longitudinali quasi del tutto ciechi, e le ampie aperture sui lati corti.
Nella parte destinata a laboratorio dell’artista è prediletta la scelta qualitativa della luce: troviamo lucernari orientati a nord, in modo da catturare la luce zenitale, la più adatta a dipingere; nelle altre zone della casa invece la scelta è orientata più sulla quantità di luce, con le aperture esposte a sud. All’interno dell’abitazione, in particolare nello studio del pittore, troviamo salti di quota generati da soppalchi e pannelli che, rievocando la lezione loosiana, consentono di distinguere i diversi ambienti senza per questo separarli. Gli ambienti di servizio sono per lo più collocati al piano terra; al primo piano, accessibile direttamente dalla scala esterna, troviamo galleria e zona notte; l’ultimo piano è riservato all’atelier e al laboratorio sopra il quale è posto un soppalco. Il risultato è la convivenza tra ambienti per il vivere e ambienti per i momenti creativi, non solo l’atelier, ma anche una sala “museo” e la piccola galleria.
La facciata libera vede l’utilizzo di finestre standardizzate, ma la cui disposizione evidenzia il modo di pensare “a scala umana”. Inoltre la suddivisione di pieni e vuoti in facciata, come è tipico delle opere le corbusieriane, è frutto del controllo attraverso criteri proporzionali geometrico-matematici.

Bibliografia:
- Bruno Zevi – Storia dell’architettura moderna (1950)
- Kenneth Frampton – Storia dell’architettura moderna (1980)
- Tafuri – Architettura contemporanea
- De Fusco – Mille anni d’architettura
- Francesco Tentori – Vita e opere di Le Corbusier (1983)
- Carlo Palazzolo – Sulle traccie di Le Corbusier (1989)
- Leonardo Benevolo – Storia dell’architettura moderna (1983)


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