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Casa Tugendhat, Brno, 1929-30 di Mies van der Rohe

Tesina e plastico realizzati nell'ambito del laboratorio di storia dell'Architettura II

Sintetica, originale, poetica. Tre aggettivi per 3 modi differenti d’intendere casa Tugendat. Seppure sintetica, nel rappresentare il “fare” architettura di Mies Van der Rohe e di una nutrita cerchia di architetti dell’epoca, si rivela straordinariamente originale nell’interpretazione di determinati concetti e nell’utilizzo dei materiali. Risultato? Poeticità dell’ edificio ovvero un campionario di architettura moderna nel segno di “less is more” che si pregia dell’unità di progettazione: dal pilastro alla sedia, dalla parete alla vetrata.
Potrebbe, allora, risultare interessante capire da dove l’autore trae ispirazione e nutrimento per concepire questa costruzione. Nonostante il suo essere restio alle interviste, il primo input ci giunge proprio da Mies che ci informa d’aver approfonditamente studiato le planimetrie di villa Stein di Le Corbusier. Con una pianta in mano tutto sembra più chiaro: l’elenco di riferimenti voluti o casuali si infoltisce parecchio. A prima vista appare chiara la disposizione simile delle stanze, per così dire “centrifuga”: ampia zona giorno su cui sia attestano, nel lato superiore e in quello di sinistra, i vani minori pur rimanendo inscritti in un ipotetico rettangolo. I pilotini di villa Stein diventano i pilastri di casa Tugendhat, in entrambi i casi disposti “in mezzo alla stanza”. Il cilindro ligneo adoperato da Mies altro non è che una rivisitazione della parete arcuata della villa di Le Corbusier. In questo caso più che guardare la disposizione o la funzione di questi due elementi dovremmo concentrarci sul fatto che viene utilizzata la loro parte estradossata senza indugi: quasi invadente nel suo pronunciarsi all’interno del soggiorno degli Stein; più appartata ma ugualmente valorizzata la parte posteriore del cilindro dei Tugendhat. Le Corbusier fa in modo che questa parete si prolunghi fin sopra l’edificio, creando un corpo di fabbrica visibile all’esterno che attraversa tutti i piani. Mies non può fare altrettanto con il cilindro di legno, ma riesce ugualmente a trattare il terrazzo alla stessa maniera: facendo emergere isolatamente le stanze da notte e lasciando un residuo di forma curva che richiami l’interno sottostante (la panchina) seppure non in asse. L’analisi continua con uno strumento che lo stesso Le Corbusier ci offre: i 5 punti. Va precisato, a scanso di equivoci, che il maestro francese nell’enunciaere questa sua teoria si riferiva nello specifico alle potenzialità del calcestruzzo armato e sappiamo che la casa di Brno ha struttura portante in acciaio. Tuttavia nulla ci impedisce di ricorrere a questa chiave di lettura seppure nella sua mera formalità. Pilotis, pianta libera, facciata libera, finestre in lunghezza, terrazza-giardino. Del primo punto, i pilotis, abbiamo già parlato e basta evidenziare come questi siano completamente autonomi e indipendenti dagli elementi di divisione tra interno ed esterno (vetrate) e dagli elementi di ripartizione (pareti) che ricaviamo le basi concettuali per poter parlare di pianta libera. Se la lettura planimetrica non dovesse essere sufficiente a confermare tale tesi possiamo sempre ricorrere all’intima idea che ci suggerisce la parola stessa di “Plan Libre”: architettura libera di essere modificata. Un’occhiata veloce alla storia di casa Tugendhat ci informa degli innumerevoli cambiamenti subiti e di come questa si sia prestata ad accogliere funzioni tanto diverse tra loro con un’elasticità disarmante: da caserma per le SS ad asilo nido. Questo secondo punto è fondamentale per affermare i successivi terzo e quarto. Infatti, dal momento che le pareti esterne non hanno funzione portante, la facciata è in grado di essere trattata nella maniera più disparata, potendo quindi ipotizzare piani aggettanti e aperture che corrono da un angolo all’altro. Ma Mies anche in questo caso compie il salto di qualità: finestre in lunghezza? Perché non farle anche in altezza?! E così fa. In casa Stein si rimane, invece, più legati ai dettami di Le Corbusier sebbene il risultato in facciata e la composizione degli elementi architettonici (come la scala) restituiscano un prospetto simile a quello di casa Tugendhat.
Per quanto riguarda l’ultimo punto, ovvero il terrazzo-giardino, rimarremmo alquanto delusi se ci aspettiamo di trovare piante e fiori sull’edificio di Mies. È meglio concentrare l’attenzione sui corpi di fabbrica (come spiegato prima), sul trattamento e sull’utilizzo di tale spazio.

4 commenti:

  1. ioi ho avuto la fortuna di visitarla durante il viaggio studio del primo anno!
    mi è rimasta impressa... forse xkè sono le prima architetture moderne (assieme a villa Moller) che ho vissuto in prima persona!

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  2. caspita... che fortuna... allora voglio un tuo commento!!! nn conosco nessuno che l'abbia vista dal vivo

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  3. devo confessare che quando sono entrata li dentro non avevo mai sentito parlare di questa casa Tugendhat.. pensavo "sarà una delle tante case di mies". era da 5 mesi che avevo iniziato l'università e all'inizio si fanno i corsi base (matematica, fisica, inglese)...
    solo ora posso capirla meglio, soprattutto dopo aver fatto storia 2.

    Mi meraviglia però che quello che mi aveva colpito di più sono proprio i modi di far architettura di mies: questo spazio fruibile, continuo... le stanze separate da queste lastre di marmo... le enormi vetrate che danno sul giardino, sulla città e portano tantissima luce! poi il panorama che si può vedere dalla terrazza!

    poi la cosa buffa che mi ricordo è che ci hanno fato mettere i copri scarpe blu x non rovinarla! e ci hanno fatto entrare a gruppetti... unica nota negativa: la guida in inglese... :(

    se ho qualche foto la posterò! ;)

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  4. :D beh... anche questi piccoli dettagli fanno l'architettura... già vi immagino in fila con i piedini blu... hehehe

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