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Casa Milà, Barcellona,1905-10 di Antoni Gaudì

Tesina scritta nell'ambito del corso universitario di storia dell'Architettura II

Il movimento Art Nouveau non parla lo stesso linguaggio in tutta Europa. Si assiste ad una diversificazione sia teorica che pratica di questa corrente da circoscrivere ai differenti ambiti nazionali. Filo conduttore: l'importanza assegnata alla linea come unità del lessico architettonico.
In Spagna, il modernismo catalano, rispetto le varianti sopracitate, risulta essere quello più autonomo e radicato nel substrato urbano. L'azione "civilizzatrice" era stata condotta da L. Domènech i Montaner con serrate critiche a tutte quei retaggi neoclassici. Antoni Gaudì in un certo senso proseguirà la sua opera morale decretandone anche la fine: il suo genio non fu subito recepito dalla comunità internazionale impegnata a partorire il razionalismo dopo la chiusura della parentesi Art Nouveau, ma dovete attendere il secondo dopoguerra per avere una corretta lettura critica.
Da dove parte Gaudì per far nascere la sua architettura? Ritengo che siano tre i principi che lo guidano in quest'avventura: la linea, il legame con il gotico, la ricerca di una legge universale che regga tutto il pensiero. Tre citazioni sono sufficienti a spiegare questi concetti:
- Gaudì: "la linea retta è la linea degli uomini e la linea curva è la linea di Dio"
- Gaudì: "l'architettura gotica è sublime e tuttavia incompleta", "non si tratta di copiare o parafrasare il gotico, bensì di continuarlo"
- Umberto Eco: "... Si esprime una rivolta estrema della bellezza interiore contro la colonizzazione della vita da parte della bellezza fredda delle macchine". In altri termini potremmo dire che la bellezza interiore di cui parla lo scrittore non si altro che la bellezza naturale (ma non naturalistica) che si pregia della forza della diversità per opporsi alla standardizzazione a-espressionistica delle macchine.
Ogni opera gaudiana potrebbe essere presa a modello per spiegare questi tre fattori architettonici, ma in casa Milà se ne può cogliere un aspetto maturo e ormai collaudato dall'esperienza di casa Batllò anch'essa a Barcellona.
L'analisi delle facciate non risponde ad un lessico neoclassico ed occorre una nuova chiave interpretativa che non ha precedenti in architettura. Zevi ne propone una lettura che si rifà alla scultura ovvero materia plasmata per sottrazione che quindi non nasce dal disegno, dal progetto. In effetti dagli schizzi di Gaudì poco si può percepire del risultato estetico finale: le aperture cavernose vengono sintetizzate da una sola linea chiusa.
In uno dei primi studi condotti sul prospetto possiamo leggere una sorta di pacata simmetria sottolineata dal tetto che si innalza al centro ed una guglia laterale a mo' di campanile quasi come per casa Batllò. Dettagli incompatibili con il lessico della diversità e quindi rettificati. In questo senso sembra chiara la scelta di non mettere due aperture identiche in tutto l'edificio come a voler sottolineare che in natura non esistono due cose uguali. Balconi, ringhiere e forme ribadiscono lo stesso concetto. Questo, è a mio avviso il più grande insegnamento che Gaudì lasciò all'architettura moderna: la diversità è un valore.
Coerentemente a quanto avviene all'interno anche la pianta si rivela a noi nella sua matrice eterogenea. La bramosia di spazi e volumi si traduce in un'ardita configurazione interna. Le stanze non seguono alcuna direttrice ortogonale; i muri si aggrovigliano in un continuum organico; gli elementi strutturali verticali appaiono in tutta la loro irregolarità. La "puntualità" di quest’ultimi ci informa di un retaggio gotico che nella modernità risulta più consono ad una struttura in calcestruzzo armato: sono invece costituiti da pietre e muratura. I materiali usati risultano tanto evidenti da aver decretato il nome di questa casa: La Pedrera (la pietraia).
La cura del dettaglio sembra maniacale, da artigiano: è risaputo come il maestro fosse sempre presente sul cantiere. Quest'aspetto è ben evidente sulla sommità dell'edificio dove l'architettura si fa scultura per mezzo di totem e blocchi rivestiti in ceramica. Vogliamo vedere questi elementi come una libera interpretazione delle decorazioni delle cattedrali gotiche, quasi in un gesto didascalico per dichiarare le proprie fonti. Anche allora aspetto ludico non è da sottovalutare. La loro riconoscibilità, inoltre, si presta ben a sostituire la vecchia monumentalità urbana, ormai stanca di colonne e archi. Queste è uno dei punti chiave del architettura gaudiana: con il suo linguaggio seppe creare una perfetta sintesi tra arte propriamente detta e arte del costruire altamente assimilabile dalla popolazione.

Bibliografia:

“storia dell’architettura moderna” di Bruno Zevi
“storia della bellezza” Umberto Eco, Bompiani 2004

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